Criptovalute e blockchain: intervista a Marco Laurenti

Dopo aver raggiunto il tetto massimo di 20.000 USD nei primi mesi del 2018, il Bitcoin è crollato nel giro di qualche mese a 3.000 USD portando giù tutto il mercato cripto per poi risalire a 15.000 USD nel biennio 2019-2020. Questo è solo un esempio di quella che è la criptovaluta forse più conosciuta, il Bitcoin, simbolo di un nuovo mercato finanziario, volatile e instabile, ma che nel 2020 secondo Statista ha mosso più di 758 miliardi di dollari. Oggi il valore è una rappresentazione digitale basata sulla crittografia e circola fuori dai classici circuiti bancari e ha alle spalle nuove tecnologie come la blockchain. In questo panorama nascono nuove startup e progetti che con prodotti innovativi che consolidano il mercato delle criptovalute.

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Per saperne di più abbiamo coinvolto Marco Laurenti, membro del Comitato Scientifico di Scrypta Foundation, membro del Consiglio Nazionale di Italia4blockchain con delega per la Regione Abruzzo, Direttore Generale di Capitale Umano Italiano. Marco si occupa da diversi anni di criptovalute e studia la tecnologia blockchain, le sue applicazioni pratiche nella PA e nei sistemi aziendali.

1. Come descriveresti il panorama delle criptovalute nel 2021?

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Dopo 12 anni dalla validazione della prima transazione su Bitcoin direi che si stanno iniziando a vedere alcuni riscontri positivi. La pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione ponendo delle priorità sullo sviluppo del mindset. Tutti abbiamo dovuto fare i conti con la decentralizzazione del lavoro, delle responsabilità e del timing. Satoshi Nakamoto nel 2008 mentre cercava una soluzione al problema della “double spending” probabilmente aveva già compreso anche questo rischio. È molto importante sottolineare che 1 bitcoin varrà sempre 1 bitcoin e che l’incremento di valore consta in che cosa questo rappresenta oggi per l’uomo. Proprio per questo Bitcoin rappresenta in primis il più grande valore che il singolo uomo non ha mai potuto avere, la libertà finanziaria. Sono differenti i progetti che in questi 12 anni si sono susseguiti, ciascuno con le proprie peculiarità. Tra i più importanti Ethereum che ha introdotto un nuovo linguaggio di programmazione solidity che permette lo sviluppo di smart-contract e Polkadot che grazie alla propria tecnologia permette l’interoperabilità tra differenti chain. Ad oggi però vedo ancora troppa attenzione al valore venale delle critpovalute e poco a ciò che queste permettono di fare nell’immediato. Il gap comunicativo e formativo è ampio e dobbiamo agire per colmarlo.

2. Cosa rende il mercato delle criptovalute così diverso dalla finanza tradizionale?

Per millenni sono sempre stati organi centrali ad avere il controllo sull’emissione delle valute, dai Greci ai Romani, fino ai giorni nostri. La tecnologia Bitcoin ha reso possibile la disintermediazione del sistema finanziario eliminando la figura dell’intermediario in cui riporre fiducia. I bitcoin vengono generati attraverso il processo di mining, svolta da computer molto potenti e prestazioni che riescono a risolvere problemi matematici in un breve lasso di tempo. Nessun governo e nessuna società è dietro lo sviluppo del progetto Bitcoin, è tutto sviluppato e regalato all’umanità completamente open source. Chiunque infatti può accedere al codice sorgente e verificarne l’integrità e la logica. Tutte le transazioni on chain avvengono in maniera completamente peer-to-peer senza che un terzo possa rifiutarti l’invio. La parola chiave per comprenderne al meglio la differenza è trustless.

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3. Ci sono stati degli sviluppi nella tecnologia blockchain legata al mondo cripto? La stessa tecnologia pone dei limiti a questo nuovo mercato finanziario completamente digitale?

Assolutamente sì, la blockchain di Bitcoin è stata la pietra miliare, da lì sono nate un’infinità di token e criptovalute. Se ne contano ad oggi più di ottomila ma sono poche quelle che davvero avrebbero senso di esistere. La finanza tradizionale ha più limiti di quella decentralizzata. Penso alla finanza tradizionale come poco inclusiva ed elitaria riservata esclusivamente a chi ha ingenti capitali. Ad oggi il rischio della finanza decentralizzata è nella conoscenza che si ha in un progetto e nella tecnologia che vi è insita. La conclusione è che né l’una né l’altra fanno davvero quello che dicono, la retta via è nel mezzo ed alcune grandi banche Fintech stanno dando vita all’open finance.

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4. Qual è la posizione delle istituzioni italiane ed europee in materia di criptovalute?

Domanda interessante che apre a ragionamenti più o meno condivisibili. L’Italia aveva un’opportunità, ovvero quella di creare un’economia tecnologica che potesse di fatto competere con le grandi potenze mondiali, ma non l’abbiamo sfruttata. Molte aziende che sarebbero potute nasce in Italia perché figlie di menti nostrane hanno necessariamente creato all’estero aziende di successo. Un scarsa legislazione e l’incertezza normativa di cui è schiavo il nostro Paese non lo rende il posto perfetto per l’innovazione. Le iniziative legislative sono poche e non efficaci perché non seguite da atti che avrebbero dovuto dare sostanza ad articoli presenti nel D.L Semplificazioni del 2019. Avremmo dovuto avere delle linee guida AGID che non si sono mai viste e questo ha creato malessere e sconforto per il tessuto economico.

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Anche l’aspetto che interessa di più agli organi centrali, la tassazione, è stata ed è ancora un campo di battaglia aspro dove ci sono solo interpelli ed analogie a cui vengono assimilate le criptovalute. La strada è lunga, ma la tecnologia non si ferma e saremo costretti ancora una volta a rincorrerla.

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5. Si parla di una banca centrale per valute digitali: c’è un esempio nazionale e può essere veramente utile?

Le CBDC (Central Bank Digital Currency) sono già realtà. Anche qui l’Europa non è propriamente al passo con lo sviluppo tecnologico del resto del globo. La Cina è già passata da una fase beta ad una effetiva con il suo Yuan digitale, ma qual è effetivamente il senso di queste CBDC? Le opinioni sono discordanti. Personalmente le vedo come un’opportunità in determinati settori come quello dei traffici commerciali o della tassazione. Però attenzione, questa tecnologia non ha praticamente nulla a che fare con le criptovalute tranne per il fatto che è possibile programmarle e quindi dare specifici diritti a ciascun asset. Il rischio è che queste diventino, al contrario di quanto accaduto con le criptovalute, uno strumento di controllo ancora più invasivo di quelli che già oggi abbiamo.

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Immaginiamo che uno Governo centrale sia a conoscenza di che cosa compriamo, di quale intimo preferiamo, dove solitamente facciamo la spesa. Insomma anziché essere uno strumento di libertà diventerebbe uno strumento di controllo. Se non altro la medesima Cina è stata la prima a partire con questo esperimento ed il perché lo lascio a voi carpire.

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Simone Catania

Mi occupo di comunicazione e marketing digitale per il dominio .SRL dedicato alle Srl italiane e scrivo su news.srl di innovazione e digitalizzazione per le aziende.

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