L’influencer marketing e il lavoro di influencer spiegato da Stefano Pedretti

Abbiamo conosciuto Stefano Pedretti, influencer e imprenditore digitale. Stefano si presenta come uno dei maggiori esperti di Instagram con un account che conta 138 mila follower (febbraio 2018). Nel dicembre 2016 da vita al progetto IG Strategy, la prima Academy italiana su Instagram a tutto tondo. Ha inoltre collaborato con diversi brand, tra cui Corona Extra, Coca-Cola, Peugeot e Sky, diventando a tutti gli effetti uno degli influencer in più rapida ascesa In Italia.

Cosa vuol dire essere un influencer?

La definizione canonica da dizionario dice che gli influencer sono

“individui con un più o meno ampio seguito di pubblico che hanno la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori in ragione del loro carisma e della loro autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse.

La mia visione è un po’ diversa perché ritengo che si possa essere influencer influenzando anche il comportamento di un individuo senza per forza influenzarlo a livello di comportamento d’acquisto. Nella mia visione, i motivatori ma in generale tutti i grandi leader sono degli influencer che influenzano il tuo pensiero in una data direzione, senza pubblicizzarti niente. Ad esempio, uno dei più grandi influencer secondo la mia definizione è Gary Vee, che rompe gli schemi mentali che hai in testa, facendoti riflettere su punti di vista, idee, trend e comportamenti molto, molto interessanti. Queste figure, giocano un ruolo chiave nella scelte professionali di alcune persone, spingendole a perseguire una propria idea e trasformarla in business. Non c’è nessuna vendita, ma un cambiamento di visione e di vita, che sono ben più difficile da far fare alle persone rispetto a un acquisto. È innegabile che un influencer, promuova prodotti per delle aziende, cercando di raggiungere la visibilità massima e sperando che poi questa visibilità si trasformi in vendita finale.

Com’è possibile monetizzare la propria influenza sui social?

Sicuramente bisogna avere un buon seguito; senza pubblico da “influenzare” non c’è influencer. Influencer non lo decidiamo noi di diventarlo, ma sono il duro lavoro e il nostro audience a decretarci o meno una persona di riferimento in una data nicchia.
Ci sono varie modalità: c’è chi ha una grande pagina (ad esempio motivazionale) e promuove servizi in affiliazione, oppure c’è chi è sé stesso, ci “mette la faccia” e promuove quello che gli piace, sapendo anche rinunciare a campagne che non rappresentano il suo modo di essere.

Stefano Pedretti, Instagram influencer @stefanopech

Come si diventa influencer?

Non c’è una ricetta precostruita, ognuno trova il proprio modo e la propria strada. La prima cosa è essere sé stessi parlando e raccontando di quello che piace e di cui si nutre una passione. Ci sono influencer di viaggi, influencer di make-up, influencer per lo streetwear…. prendi quello che ti piace e fallo vedere sui social, raccontalo. Qualcuno interessato c’è. Un aspetto di primaria importanza è “metterci la faccia”. Vi trovate a disagio a fare una storia con la fotocamera frontale in cui dite cosa state provando, che sensazioni vi ha dato un prodotto o un’esperienza? Direi che sia abbastanza normale. Sbaglierete moltissime volte, ma fa parte del gioco. Un altro tassello di fondamentale importanza è sfornare contenuti freschi quotidianamente; se ti fermi sei perduto e i tuoi fan vanno su altre pagine, dimenticandosi di te. L’interazione coi seguaci, attraverso messaggi privati e commenti è un elemento che aiuta a “fidelizzare” il follower e creare un rapporto più personale.

Qual è il panorama dell’influencer marketing in Italia?

Ahimè, come per molti altri ambiti, siamo purtroppo ancora indietro e per le aziende è uno strumento di sfruttamento nei confronti degli influencer. Per la maggior parte delle aziende, la voce “pubblicità e marketing” viene vista come un mero costo, quindi l’investimento (è un investimento!) che fanno è basso. Più nello specifico, molte aziende non danno valore agli influencer, proponendo tipologie di collaborazioni assurde e che rasentano l’offensivo. Vi cito una proposta che mi è stata fatta di recente. Per correttezza non faccio il nome dell’azienda:

“La collaborazione si basa sullo STEP BY STEP… Prima di spedire i prodotti, Il nostro promoter dovrá pubblicare semplicemente nel suo profilo un’ oggetto delle nostre collezzoni da lui scelto. Successivamente averrá la promozione “LIVE” (cioé insossando). Giusto per dare a noi un idea della tipologia di followers che lui\lei possono attirar all’acquisto…Noi nel contempo sceglieremo una foto dal suo profilo e faremo il repost. In questo modo… ci pubblizzeremo entrambi e potremo vedere se la sua immagine “funziona” con la tipologia di acquirenti ai quali ambiamo.Se raggiungerá la media like del promoter,  l’ oggetto verrá spedito per la promo indosso.Siamo molto flessibili e aperti ad altre tipologie in linea con questa filosofia che comunque sta avendo ottimi risultati come ritorno follower per i promoters.E come potrai vedere nel nostro profilo siamo nel vivo in questi giorni con numerosi Promoters”.

Tralasciando per un attimo gli errori di scrittura, sono andato a guardare i “promoters” con cui stanno lavorando; tutti profili da 2-3K followers, quindi agli albori. Ho chiesto se era previsto un budget per la campagna. Non hanno risposto. Non sono d’accordo su proposte del genere, ma soprattutto se mandate a profili con un buon seguito; quello che mi sono chiesto è “ma avranno guardato i profili delle persone a cui mandano questi DM?” e la risposta penso che sia No onestamente. Tutto questo per dire che in Italia tante aziende cercano un influencer marketing dello sfruttamento, dando valore 0, imponendoti la caption da usare e decidendo loro data e orario di pubblicazione. La maggior parte delle aziende con cui ho collaborato e collaboro sono straniere. La differenza è netta. Sono molto gentili e vedono l’influencer come un’opportunità con cui COLLABORARE, e quindi NON SFRUTTARE. Il materiale inviato agli influencer ha un valore nettamente superiore rispetto a quello medio italiano. Nel 2016 ho collaborato con un’azienda americana di accessori. il mio profilo era sui 20K follower circa. Mi hanno mandato 250$ di materiale senza impormi niente. Non sono stato pagato, solo materiale omaggio. Ebbene, mi sono trovato talmente bene con loro che ancora oggi li menziono nelle foto in cui uso questi accessori. Senza esagerare almeno 15/20 menzioni le hanno avute da me. Perché? Perché hanno dato valore all’influencer e ci hanno creduto, investendoci. Dal mio lato, vedendo questa serietà, ho voluto dare valore a mia volta. Lavorare così è un piacere. Un influencer che ha una collaborazione felice con un’azienda, consiglierà quest’ultima anche ad amici perché crede realmente nel prodotto che sponsorizza; viceversa, una relazione fredda con costrizioni, porta il promoter a non fare niente in più di quello che è stato pattuito. Chi ha più da guadagnarci? La risposta è facile…

Come avviene una collaborazione tra azienda e influencer?

Ci sono varie possibilità: si scrive all’azienda e l’azienda risponde con un no o con un sì e le sue condizioni. Si può accettare, rifiutare o negoziare la proposta. Altra modalità: ci si iscrive a una piattaforma di dedicata all’influencer marketing come Buzzoole e si viene chiamati per delle campagne, che possiamo accettare, rifiutare, e talvolta negoziare, in bvase alla campagna. Ultima possibilità: si viene contattati tramite diversi canali (DM, email ecc.) e viene esposta la campagna. Talvolta sono le stesse aziende, altre volte agenzie intermediarie. Personalmente ho avuto esperienza con tutte e tre. La prima difficilmente è pagata, negli altri due casi sono pagate quasi sicuramente.

Quali sono i vantaggi dell’influencer marketing per le aziende?
Pubblicità mirata a basso costo con un alto ritorno. Meglio di così!
Alzi la mano chi tra i Millennial, ma soprattutto tra i Centennial spende più ore sui social che davanti alla TV… la risposta è presto detta. Queste due generazioni consumano i contenuti attraverso i social, non più alla TV. Un numero che la dice lunga: nel 2016 gli MTV Awards sono stati guardati da 6,5 milioni di utenti in TV e 21 milioni (!) su Snapchat. La differenza è abissale. Una campagna influencer ha un costo decisamente inferiore a una campagna televisiva, ma soprattutto è indirizzata a un pubblico interessato. Se seguite un personaggio nel settore moda, è perchè vi piace il suo stile e trovate interessanti i suoi suggerimenti. Cercherete in qualche modo di imitare e prendere qualche prodotto indossato dalla persona dall’altra parte dello schermo. Daniel Wellington, celebre produttore di orologi “finto lusso”, è diventato famoso e di successo come brand (valore stimato 200 milioni di dollari, dato 2015) utilizzando campagne influencer e quindi dando i propri prodotti a influencer su Instagram. Con la crescita del brand sono cresciuti anche gli standard minimi con i quali vengono offerte le collaborazioni; se prima bastavano 10K, oggi magari ne richiedono 50K di follower (stiamo semplificando, c’è altro oltre che il mero numero di follower). Le campagne influencer le fanno sia le grandi aziende multinazionali, sia le neonate aziende che hanno bisogno di visibilità devono ritagliarsi una fetta di mercato. Il presente-futuro è qui, vietato mancarare.

Simone Catania

Mi occupo di comunicazione e marketing digitale per il dominio .SRL dedicato alle Srl italiane e scrivo su news.srl di innovazione e digitalizzazione per le aziende.

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